mercoledì 13 giugno 2018

SHI: settima caduta.


“Ide, corri al Parco 7 Novembre, qui c’è stata una bella tempesta di rogna. Portati qualcuno, c’è un bipede pronto per la Valhalla!”
Un’ enorme Luna gialla incassata nel cielo è alta a reggere la notte. Ide e sua sorella Ana con uno scacciapensieri magico attirano a loro lucciole per farsi strada nel buio lungo i sentieri del parco in cui si sono introdotte attraverso un’inferriata predata dalla ruggine e forzata da qualche avventore clandestino. 
“MILIZIA – NON OLTREPASSARE”  è stampata su una ragnatela di nastro  delimitando la zona dove i dojo si sono dati battaglia.
Capelli, emesi, denti , brandelli di tessuto e chiazze di sangue disseminano in ordine sparso il terriccio sotto i loro piedi. Ide e Ana percepiscono brevi stralci di quel che è accaduto e non abituate a quella dose di violenza raccapricciante, sentono il sinistro accapponare della loro pelle ricoprirle in un gelido avvinghio.
Bastet estremamente scosso,  continua ad agitare nervosamente la coda ed è fermo in prossimità di una cavità sita ai piedi di un enorme masso.
“Ide, l’odore del sangue su di lui è molto forte e sento battere appena il suo cuore.” dice il gatto.
“Ide, entro io che sono minuta. Lo imbraco e proviamo ad estrarlo sperando che l’ossuta dama nera non se lo porti appresso.” dice Ana rivolgendosi a sua sorella.
Trascinarlo fuori dal buco fu difficile per le ragazze , ma ancor più complicato caricarlo in un telo per portarlo all’ auto. Questo però fu un problema trascurabile considerando che soccorrere un fuorilegge non è contro la legge, ma lo è non denunciarne il rinvenimento.
“Ide , questo tizio ha commesso un reato. Se non lo denunciamo, rischiamo la carcerazione e non può salvarci nemmeno il Principato dei Divinatori!Lo scarichiamo al pronto soccorso e se la vedranno loro.”
“Certo e la Milizia lo preleverà senza nemmeno attendere che gli vengano prestate cure sbattendolo in una cella a crepare come un cane. Inoltre: ti ricordi quanto ci fu grato quel ministro quando salvammo suo figlio da quella spora di fungo mutageno che ha trovato nel bosco? Ecco, ci deve un favore. Per finire, non ho scelto di fare l’alchimista per non curare le persone, quindi  piombati quella tromba di bocca che ti ritrovi e medicalo come si deve, aspirante soccorritrice alpina del mio tacco 12!”
“Va bene ho capito, non ce la fai proprio a non metterci nei guai. Comunque: la cassa toracica si espande, ma la saturazione è pessima. Comincio a levargli la maschera e a mettergli un po’ di ossigeno, sperando che non ci sia sangue raggrumato sotto di essa ad incollargliela al viso”
Levata la maschera, Ide trasalì: Argo, è la persona celata da quella maschera. Il gentile ragazzo del palazzo di fronte al negozio, appartiene ad un dojo illegale.
Un rapido ricomporsi di piccoli particolari chiarirono a Ide del perché il ragazzo era sovente curvato dalla fatica, claudicante e con qualche segno di ecchimosi, cose che lui giustificava a chi lo conosceva come cadute accidentali dalla bicicletta. Sì, perché egli lavorava come corriere in bici.
Ricordò di quando sua madre  vendette una pomata antibiotica al ragazzo per medicare un orecchio che il giovane stava siringando drenandolo dal sangue.
“Eh signora, per evitare un’auto, sono caduto dalla bici sbattendo un orecchio a terra” nascondeva  un “Signora, sono un lottatore illegale. Rischio la pena capitale per questo, ma amo farmi pestare come una fettina in luoghi isolati rischiando la pelle come un rospo vicino ad una superstrada.”
Arrivati a casa, la salute di Argo non sembrava migliorare.
“Respira male, l’ossigeno è a 6 litri al minuto. Ha perso molto sangue e non sta per niente bene. In tutta sincerità, ho paura che per il giovane samurai si metta male. Che facciamo?”
Caryn era piuttosto combattuta sul da farsi,ma quando guardò in faccia Argo ebbe una stretta al cuore. Dopodiché,rivolgendosi a Bastet chiese:
“Il bambino che vi sfamò è lui, giusto?”
Il gatto annuì.
 “Siamo in debito con lui. Inoltre, l’ho visto crescere e mi ha fatto sempre una gran pena: fa male vedere un bambino non sorridere mai. A giudicare dalle urla provenienti da casa sua, avere la sensazione di non sentirsi a casa nella propria dimora deve essere terribile a quell’età. Ide: devi incidergli una runa Tiwaz multipla nelle carni e dobbiamo sperare che qualche valchiria se lo prenda a cuore. Ciò guarirà le sue ferite e lo renderà vittorioso per le sue prossime battaglie,sperando che un giorno decida di piantarla con quelle fesserie.“
Ide andò a prendere un punteruolo ricavato dalla corteccia di quercia e Caryn preparò un pigmento purpureo. Pur rifuggendo la violenza, Caryn si sentiva in dovere di aiutare il giovane, la cui bontà e generosità d’animo tanto contrastavano con la furia che aveva in corpo.
(continua)

domenica 29 aprile 2018

EXTRA ROUND: questione di naso.


Ho ottima memoria per gli odori.
La mia mente è uno sconfinato archivio traboccante aromi e miasmi di ogni tipo.
Tramite l’olfatto percepisco cattiveria, natura demoniaca o al contrario, bontà d’animo . Ci sono tante cose che sfuggono ai  nasi atrofizzati degli umani, che da quando hanno  dimenticato il linguaggio animale perdendo la loro natura di scimmie, sono diventati degli alieni su questa terra. Madre Gaia ormai non li riconosce più e li tratta di conseguenza tentando di sterminarli.
Non tutte le scimmie glabre però, vengono per nuocere: non scorderò mai l’odore di quel bambino che trovato il giaciglio dove mia mamma aveva lasciato me e i miei fratelli mentre era in cerca di cibo, prese brevemente il suo posto.
Sì, perché nostra madre, una bella gatta nera dal lungo manto, ci lasciò come tutte le mattine per andare a cercare cibo, ma non fece più ritorno. La perversa voglia di uccidere tipica dell’essere umano ce la portò via, ammazzata da un sadico ragazzotto che decise di testare su di lei la balestra che il padre teneva nell’armeria.
Sollevammo tutti la testa di scatto quando sentimmo l’urlo che emise durante il suo assassinio e quando finimmo di miagolare disperati, l’istinto ci disse che eravamo spacciati: disgraziatamente dipendevamo dalle cacciagioni di nostra madre e non avevamo ancora imparato a cacciare.
Se non fosse stato per quel bambino e gli avanzi della pescheria di suo padre, saremmo morti di stenti . Come sentivamo l’odore del pesce, uscivamo dalla siepe in cui vivevamo  correndogli incontro a coda ritta e mangiando tutti insieme da una ciotola di alluminio.
Tutto andò bene fino a quando il cucciolo umano non decise di portare suo padre a guardarci , che rivolgendosi a lui esclamò: “Argo, evita di allontanarmi dal negozio per queste cazzate. Se pensi di portarteli in casa te lo scordi e che non ti peschi più a portare resti di orata fuori dal negozio per queste bestiole insopportabili!”.
Il bambino però, non si arrese: arrivò in compagnia di un anziano umano panciuto e dimesso, il cui volto bonario ci ispirò subito fiducia. La gente lo soprannominava “il nonno dei randagi”, perché si occupava degli animali in difficoltà del quartiere.
Ci mise tutti in un trasportino e ci diede in adozione ad alcuni abitanti del quartiere. Eravamo spaventati quando vedevamo quelle mani avvicinarsi per prenderci, ma quando fui agguantato da Caryn mi sentii subito al sicuro. Percepivo in lei un’immane forza che gli altri umani non possedevano, ma non ne fui impaurito. La sua voce calma mi ispirò fiducia e mi abbandonai facendo le  fusa tra le sue braccia, ma scoprii in seguito che non era lei a cui ero destinato, ma a una delle sue figlie, Ide.
Era anche lei una cucciola come me e come mi vide mi stordì urlando di felicità e mi rivolse così tanto affetto che ci misi poco ad affezionarmi a lei. Ciò che mi suggerì l’istinto era di dubitare degli esseri umani, ma imparai a gestire questo tipo di sentimento grazie ad Ide, che divenne quasi una sorella.
Poi una sera di autunno, iniziai a sentirle addosso un cattivo odore.
Iniziai a percepirlo tutte le volte che rientrava tardi a casa e quel fetore di morte capii che non era il suo, ma di un esemplare di umano maschio, giovane e dedito a qualcosa di turpe.
Durante un pranzo in famiglia, scoprii da dove arrivava: era il lezzo di Stelian, il suo nuovo ragazzo. Odiavo quelle sue lunghe mani pallide e passavo il tempo a scansare le sue carezze: il suo tocco era gelido e sventuratamente la mia natura sensitiva, mi mandava brevi flash della sua vita. Un  giorno che rizzai il pelo e soffiai, Ide e i suoi famigliari la presero sul ridere, pensando che fosse a causa del freddo invernale che si portava addosso appena entrato in casa.
Non sanno che il gelo per un esemplare a pelo lungo come me è una buffa piccolezza: trasalii  perché percepii nella mia mente l’ urlo straziante di un piccolo animale, probabilmente un coniglio ,ucciso in modo terrificante.
Soffrivo nel vedere Ide dormire stretta a quell’anomalia umana di Stelian ed essere scacciato dal letto dai loro piedi, mi fece soffrire moltissimo.
Mai offendere un gatto: nella loro superficialità gli umani sottovalutano l’ orgoglio felino. Calci e carezze si addicono ai cani, ma noi gatti siamo di tutt’altra pasta. Un’onta subita si lava solo con la vendetta per cui iniziai a pedinare quell’essere ripugnante e debbo ammettere che quella scimmia glabra, fu piuttosto abile nel seminarmi. Era dotato di una velocità irreale per essere un uomo e come raggiungeva l’ombra di un vicolo, spariva completamente…puzzo compreso.
Poi, mentre mi leccavo infuriato sentendomi stupido per averlo perso un'altra volta, fiutai un vecchissimo odore della mia infanzia e mi passarono davanti due umani dall’aspetto predatorio.
Ne rimasi ammaliato: la loro andatura fiera e ed elegante, mi ricordava tanto quella delle mie cugine tigri. Erano pericolosi ,affascinanti e i loro corpi avevano qualcosa di diverso da quelli degli umani che ero solito incrociare per le vie del centro.
Sapevano di cibo, tensione e rabbia; quello più piccolo di statura, aveva qualcosa di familiare.
Frugai nel mucchio di ricordi della mia mente e poi realizzai:  quel tizio era il bambino del pesce.
Dopo che i due si separarono, pedinai  il ragazzo del pesce fino a casa e mi arrampicai su di un albero di fronte al suo palazzo quando mi accorsi che percepì la mia presenza.
Gridò: “Ma che bello sei! ASPETTA, NON SCAPPARE!!”  ma ormai ero già sparito tra i rami; qualche minuto dopo uscì da casa guardandosi intorno, lasciando avanzi di cena a terra in una vaschetta per alimenti.
A quel punto decisi che la mia adorata Ide, doveva diventare la sua compagna ad ogni costo.
“Non sono qui per ucciderti” dissi a un merlo che mi guardava terrorizzato, ”Voglio solo sapere se sai se al sorgere del Sole quell’umano al terzo piano esce di casa”.
“Sì, ma ti prego lasciami stare, la mia compagna ha appena covato” mi rispose e io fui di parola.
Mi appostai facendo brevi pisolini e le orecchie fecero la  guardia tutta notte.
All’alba, Ide mi comunicò  telepaticamente “OH BAS, MA  DOVE CAZZO SEI FINITO TUTTA NOTTE?!”
Inventai una buona scusa felina:“Sono fuori dal negozio, non avevo sonno e c’è una gatta che mi piace qui. Ti aspetto davanti alla saracinesca.”
Come Ide arrivò, come per magia uscì anche il ragazzo e io andai verso il giovane strofinandomi contro le sue gambe.
“Ti sei perso bestione?” disse bonariamente il ragazzo che si inginocchiò vicino a me.
Ide arrossita disse: ”Bastet, vieni qui! Scusami, mi è scappato stanotte.”
Lui rispose: “Ah, è tuo quindi? E’ meraviglioso sai?”
Io comunicai telepaticamente a Ide “Presentati almeno, percepisco che lui ci tiene”.
“Ci vediamo tutte le mattine e non ci siamo mai presentati: Ide, piacere.”
“Argo, piacere mio. Passa una buona giornata.” Rispose.
“Ti piace Ide, confessa!” la punzecchiai e lei rispose “Bas, smettila. Non fare mai più una cosa del genere piuttosto, temevo di trovarti disteso sul rettilineo di viale Regina.”
Mi appollaiai su di un vecchio cuscino nel magazzino dei farmaci in negozio, riflettendo su come incastrare Stelian aggirando i suoi trucchetti da stregone. Poi  sentii fuori dal negozio, il frusciare di un gruppo di foglie spostate dal vento e capii che le correnti d’aria, con il loro trasportare odori da lontano, potevano essere buone alleate per scovare Stelian.

sabato 7 aprile 2018

SAN: seppuku sentimentale.


“Ide, ti prego, non afferrarmi  la coda, ti scongiuro!”
“Ti conosco da quando eri cucciolo Bas e il tuo atteggiamento mi suggerisce che nascondi qualcosa. Il fatto che tu stia creando una barriera psichica per celare le tue sensazioni, puzza di bruciato più delle torte di mia sorella Gwen!”
Ide soffiò sul pelo di Bastet prima che esso riuscisse a lanciarsi verso i rami di un pioppo fuori da una finestra: il felino rimase fermo a mezz’aria, vittima dell’incantesimo di immobilità lanciatogli dalla sua padrona.
A quel punto la maga gli agguantò la coda e la sua mente poté sondare quella del gatto, rivelandole ciò che esso aveva visto qualche ora prima, ovvero il suo amato Stelian assorto nel sacrificare ardendo vivo, un caprone.
Ide si sentì attanagliare lo stomaco nel vedere Stelian, l’amore della sua vita, lordarsi di uno dei peggiori crimini che un mago potesse compiere: sacrificare un essere vivente a forze oscure per accrescere il proprio potere magico.
Guardare quella sventurata creatura contorcersi tormentosamente avvolta in una fiamma nera dinanzi al proprio amato, le procurò una terribile nausea.
Si sentì stupida per aver creduto che Stelian avesse raggiunto il suo alto livello di magia senza ricorrere alla crudeltà, scendendo a patti con quelle forze che furono la disgrazia di tanti praticanti di magia perseguitati per secoli.
Il senso di tradimento e repulsione che la travolse,  la fece crollare sulle ginocchia e le lacrime cominciarono progressivamente ad sommergere il suo viso, scivolandole sul mento e stillando ad intervalli quasi regolari, sul suo seno.
Tentò di domare i singhiozzi con una mano e Bastet svincolandosi dall’incantesimo, le venne in soccorso avvoltolandosi in grembo e tentando di assimilare un po’ del dolore di Ide.
Lei lo strinse a se e Bastet  le strofinò la testa contro il mento ,dicendole: “Ide, mi dispiace tanto, ma era da troppo tempo che gli sentivo addosso la puzza della paura. Conosco quell’odore: è lo stesso che emanano le creature che vado a predare prima che le uccida. Ho voluto seguirlo ed era quasi riuscito a seminarmi, perché si è teleportato. Peccato che  per via della giornata ventosa, l’ho fiutato fino al bosco, sul letto di un fiume in secca. Ero l’unico animale nel raggio di centro metri, persino gli insetti hanno abbandonato fiori e tane per la paura.”
Migliaia di pensieri varcarono la mente della giovane, ma di una cosa era certa: tra lei e Stelian era finita. 
Per certi versi avrebbe preferito sorprenderlo con un’altra donna che vederlo smarrirsi nell’oscurità della stregoneria. Sì, perché una volta abbracciato il seducente buio del male, da maghi si diveniva stregoni.
“Ide alzati, quel bastardo sta arrivando!” disse il gatto e la maga che attendeva il fidanzato per una birra, asciugò il pianto con la collera.
Lei non attese che lui arrivasse alla porta: lo anticipò spalancandola con forza e lui inconsapevole dell’accaduto, restò rincretinito dalla spinta che ricevette sul petto.
“Qui non ci entri lurido omicida, VAI A BACIARE IL CULO DEL DEMONE CHE HAI INVOCATO!”urlò lei, tanto rossa in viso da rendere il suoi capelli un tutt’uno con la sua pelle.
“Ide ascolta,  se non fai così, ci vuole troppo tempo per ottenere…”
“…per ottenere una buona carneficina?” interruppe Bastet : “Tante vite sacrificate per assimilare poteri migliori ,un po’ come quell'odioso incantesimo che non è riuscito a vincere sul vento e sul mio olfatto di predatore. Inoltre, quando qualche sera fa eri intendo a fare il Don Giovanni sotto la doccia con Ide, ho annusato  la tua giacca percependo che la prossima vittima sarei stato io. Quanto potere si ottiene nel sacrificare l’amico fedele della tua fidanzata?”
A quel punto Ide perse completamente la calma e strillò avventadosi sull’ex ragazzo;  le sorelle che stavano assistendo alla scena, si precipitarono a dividerli.
“MOSTRO SCHIFOSO, AVRESTI UCCISO ANCHE BAS! SPERO POSSANO PRENDERSI L’ANIMA CHE TI SEI VENDUTO E STRAZIARTI PER L’ETERNITA', FIGLIO DI PUTTANA!”
In quel mentre intervenne lapidaria Caryn, la madre di Ide e rivolgendosi al ragazzo, lo liquidò severamente: “Prendi le tue ultime carabattole e svanisci. Non voglio oscuri a casa mia. Se penso che eravate ad un passo da metter su famiglia e a darmi dei nipotini, mi sento mancare le forze.”
Stelian divenne rosso in viso, ma di rabbia. La mandibola era serrata ai limiti del dolore e l’adrenalina dentro di sé, lo pervadeva avvampandolo d'odio.
“Stelianuccio, queste troie si stanno allargando troppo. Ora conosci le parole per acquisire la loro energia vitale lasciandole imputridite al suolo dopo penosissimi spasmi. Fai sapere agli altri maghi che con il grande Stelian non c’è da scherzare, uccidile tutte!”
Il suggerimento di una gelida vocina interiore , gli fece spalancare la bocca, ma prima che le corde vocali potessero articolare la prima sillaba di una formula magica, Stelian si accorse che un corvo del Magic Bureau, stava volando circolare sopra la sua testa.
“Speriamo non mi abbia pedinato!” pensò e voltando le spalle alla casa di Ide e della sua famiglia, se ne andò.
“Quel corvo non deve tornare agli uffici del Bureau, rischio la pena capitale” rifletté Stelian, per cui il ragazzo fece finta di avviarsi verso casa e di non essersi accorto di essere sorvegliato dall’uccello-spia.
La gelida voce del demone a cui si era affidato, gli propose nuovamente:  “Con una formula rendilo cieco, con l’altra cancellagli la memoria e vedrai che non passerai grane”.
E così fù, ma guadato da un elettrizzante sadismo, decise oltre a renderlo cieco,di farlo volare contro il parabrezza di un Tir uccidendolo sul colpo.
“HAHAHAHAHA,SEI UNA FORZA!” sghignazzò il demone e Stelian, permeato da uno squilibrato senso di onnipotenza, si avviò verso casa.
Un buon bicchiere di rosso e un bagno caldo, saranno  d’aiuto per architettare un buon castigo.” fu un pensiero che eccitò Stelian oltre ogni limite.
(continua)

martedì 27 marzo 2018

NII: cane da guerra.


Se l’ indisponenza e l’indisciplina fossero una coppia, avrebbero Gaoh come figlio.
Per quanto il suddetto fosse una mirabolante macchina da pugni, la sua attrattiva per il bushido era lo stesso che un gatto può avere nei confronti di una lavatrice.
“Oh Arghy, ma perché tutte le volte questa cazzata?! Non so manco di cosa parla questo vattelapigliare di canto che il sensei ci ha dato da imparare!” pontificò Gaoh.
È un canto buddista. Ci fa pregare prima di andare in battaglia preparandoci all’eventualità di restarci secchi. La via delle arti marziali non è fatta solo di cazzotti, ma anche di un sacco di rituali e dovresti saperlo dopo tutto questo tempo, che la via del samurai consiste nella morte.” rispose Argo.
Gaoh trasalì tastandosi vistosamente i genitali e disse: “Voi avete bollito i neuroni, altro che palle! Rituale o non rituale, a me sembra si distribuisca sfiga al mercato della rogna!”
In quel momento Gaoh percepì un’ immane forza stringere il tessuto della sua giacca issandolo verso l’alto, con tale potenza  da costringerlo a sollevarsi sulla punta dei piedi.
Gaoh si volse di scatto, travolto da un istintivo impeto di collera che si estinse di fronte a due piccoli occhi di chiarore artico di un senpai dalle proporzioni ciclopiche, Bak.
“Fate silenzio durante la preghiera o finirete pregando me di non farvi male.”
Gaoh farfugliò una serie di parole incomprensibili di cui l’unica simile a qualcosa di senso compiuto fu un timido “scusa”.
L’increspare dell’arcata sopraccigliare di Bak, faceva collegare i neuroni piuttosto velocemente perché contraddirlo non è un’opzione appropriata.
Bak era uno dei più vecchi allievi di Takeda, nonché uno dei più temuti e stimati. A dispetto di un fisico piuttosto morbido, la fluidità che mostrava nei movimenti, era qualcosa rasentante l’irreale. Il suo aspetto norreno caratterizzato dal suo cranio rasato e dalla sua folta barba bionda, ti facevano pensare durante una mischia, di combattere a fianco di un vichingo. Peccato che Bak il cui vero nome era Nicolai, era nipote di esuli della Confederazione degli Stati Slavi, scampati alla repressione ordita dal governo moscovita a danno dei dissidenti. Fu quando la nonna iniziò a fornire testimonianze sulla morte sospetta del  fratello la cui professione era quella di autore satirico, che temendo per la propria incolumità, fuggì con il marito oltre confine.
Per Argo fu un secondo maestro, anche se i metodi di Bak erano piuttosto rudi nel fargli comprendere gli errori commessi. Considerando che il nonno di Bak decise di svezzare il nipotino a pane, lotta libera  e Sambo, per Argo riuscire a decifrare quale atroce destino spettava ai suoi legamenti crociati in quel letale reticolo di braccia e arti inferiori in cui Bak intrappolava le sue gambe , era un rompicapo da brividi.
Con l’arrivo dei monaci pronti ad intonare il canto, Takeda si voltò verso i suoi samurai esclamando: “Ragazzi, ora silenzio e seguire canto.”; Argo si spazientì di fronte all’espressione annoiata di Gaoh, per cui si approssimò al gruppo dei veterani che stavano in prima fila. Necessitava di auto motivarsi e darsi forza, perché percepiva dentro di sé che la tensione pre-scontro, rischiava presto di mutare in panico.
Come nella sala trillò il suono di una campanella,  il monaco più anziano iniziò dolcemente a intonare le prime parole di un canto e qualche secondo dopo, l’intera sala levò un coro che lasciò Argo ammutolito.
L’energia diffusa da quelle voci all’unisono, furono come un’enorme marea che sbalzò Argo dall’ intirizzimento da ansia in cui  era raggelato, sollevandolo come una minuscola imbarcazione sobbalzata dal mare in tempesta.
Il cuore iniziò a percuotere il petto, gli occhi a stillare lacrime e la lingua slegò le briglie unendosi al coro. La paura cominciò a sbiadire e una fregola  feroce da violenza conquistò la sua mente, che si proiettò all’obbiettivo che si era prefissato: dimostrare al maestro che era ora di passarlo di grado.
Con il concludere della preghiera ordinati e silenziosi, i neo samurai iniziarono a dirigersi verso il parco. Persino Gaoh non proferiva parola e un sorriso inquietante gli si era steso in viso e avvicinandosi all’amico, disse:
“Argo, anche oggi come tutte le altre volte ti dico che, anche se mi stai cordialmente sui coglioni, è stato bello conoscerti!”
Argo rise, rispondendo: “Bene, per cui prima di morire ti confesso che se avessi il tuo destro, invece di voler correre da mammina come mi capita tutte le volte, mi sentirei molto più tranquillo.”
“Vedi ciccio, io la piglio come un gioco.” disse Gaoh. “Sarà che sono cresciuto nel Ghetou 4 di Bucarest e che quando ero un alto come una gamba di mio padre, già mi rullavo di botte in strada per cavare quattro spicci da spendere a caramelle con mio fratello. Come se non bastasse, quando mio zio ha cioccato quello che combinavo ha deciso di allenarmi ficcandomi nel giro della boxe a mani nude, dove son passato dagli spicci alle banconote. Considera che quando  i tuoi ti spingevano sull’altalena, mio zio  mi reggeva il sacco per farmi fare le ripetute. Per me piallare un pinco è come ingollare un mezzino di Asteria , fratele Argo. Un godurioso e rilassante viaggio verso la distruzione, mia o degli altri.”
Il Sole iniziava pigramente a discendere e il cielo a tinteggiare d’arancione. La magnificenza di quella luce che andava svanendo, lo fece riflettere sul fatto che poteva essere l’ultima volta in cui poteva compiacersi da uomo libero ,vivo o sano, di quella bellezza.
Valicata la soglia del parco, il gruppo deviò il sentiero e si infilò sotto una rete metallica divelta insinuandosi tra gli alberi;  pian piano i neo samurai cominciarono a svestirsi, lasciando cadere a terra  camicie e cravatte, indossando le giacche a rovescio ed esibendo il lato in cotone bianco di un dogi delle arti marziali. Tutti avevano con se una maschera da teatro Noh, con cui occultare il viso in caso di arrivo della milizia garantedosi l’anonimato.
Takeda era accigliato e taciturno: i suoi piccoli occhi sottili si intravedevano appena sotto il corrugarsi della sua fronte. Invitò i suoi uomini a sbrigarsi nel terminare di prepararsi e di bendarsi le mani ,quando un rapido e sinistro scricchiolio di ramaglie calpestate, fu il campanello d’allarme di una vile imboscata.
Vestiti delle loro maglie vermiglio su cui spiccava in caratteri thai la scritta “Phi” e con in vita il tradizionale Paa Kamaa, il dojo rivale assalì furiosamente i ragazzi di Takeda.
La fase iniziale di contatto in cui si formava la mischia, era la peggiore: riuscire a trovare un barlume di lucidità in quel gorgo di pugni e calci, era estremamente difficile.  
Per  quanto plasmare un corpo da combattimento sia faticoso , affilare la mente lo è ancora di più. Il coraggio poi, é qualcosa di non allenabile. In una situazione simile allineare corpo, mente e cuore, era l’agognata simmetria di ogni milite  in keikogi: questo nirvana lottatorio, prendeva il nome di mushin. Svuotare la mente e lasciare che il corpo si muovesse in modo spontaneo, era uno stato di beatitudine da combattimento che pochi riuscivano a raggiungere.
La testa della mischia è generalmente formata dai veterani e dietro di loro in ordine gerarchico, ci sono gli intermedi e i novizi: i primi vengono impegnati nel ricevere chi è riuscito a fare breccia attraverso la prima linea, oppure a dare il colpo di grazia a chi fiaccato da fatica e colpi ricevuti, restava isolato ; i secondi invece, erano  impiegati nel rimuovere le divise, a prestare primo soccorso o dare un breve cambio agli intermedi sfiancati.
L’unico momento in cui la possibilità di riacquistare un frammento di lucidità nel maremoto dello scontro, avviene quando un gruppo inizia a imporsi sull’altro, per cui le schiere iniziano a slegarsi aumentando le distanze tra loro.
Gaoh adorava questo momento: “Ooooh sì cazzo!” gridò,  centrando in piena mandibola con un gancio sinistro un ragazzotto tozzo e dai capelli rasati che in solitaria, gli si lanciò addosso finendo disteso dal pugno.
Argo invece, odiava essere in disordine durante lo lotta: ritrovarsi una mano bendata e l’altra con il bendaggio a penzoloni, lo fece infuriare.
Per quanto la delicatezza dei suoi modi lo rendevano il contendere delle donne che gli stavano intorno, la sua inaspettata ferocia in battaglia lo fece soprannominare  Inugami.
Argo scrutando la folla era alla ricerca di uno dei traditori, sicuro che privarlo del Paa Kama da consegnare al sensei poteva sicuramente garantirgli una promozione e un posto tra i veterani.
Uno dei due era già stato steso a pochi secondi dall’inizio della battaglia, colpito in pieno da un calcio circolare alto che diroccò il suo cranio mandandolo a cadere come un albero segato.
L’altro invece, era intento nel gingillarsi infruttuosamente  a forza di impacciati calci sulle gambe con un novizio.
“Sei mio, figlio di puttana!” pensò Argo e oltrepassando un pericoloso ondulare di corpi intenti a fronteggiarsi, raggiunse il traditore e gli presentò la sua gamba destra, calciando con la rapidità di un colpo di falcione naginata, dritto sul fianco del malcapitato.
Il suddetto mal assorbì il colpo, sbilanciandosi diversi passi indietro; Argo serrò  la distanza rapidamente e approfittando del fatto che il rivale era piegato con il busto in avanti per il dolore, chiuse tra le sue braccia come in una gogna  la testa e un braccio del nemico. Successivamente, distese la colonna vertebrale, costringendo l’ avversario a salire sulla punta dei piedi e scivolando con l’intero corpo sotto di lui, lo proiettò alle sue spalle catapultandolo con violenza al suolo.
I due ruzzolarono l’uno allacciato all’altro e Argo conservò la presa stringendo più che poté sino a quando il rivale asfissiando per la presa al collo, svenne.
Argo svestì in fretta e furia la cintura thai dal suo avversario e innalzandola sopra il capo guardò Takeda che, a pochi metri da lui, poté entusiasmarsi del trofeo appena conquistato dal suo deshi.
Sfortunatamente Argo non ebbe neppure il tempo di godere della vittoria ottenuta che, un terzo incomodo vestito di una minacciosa divisa militare, fece il suo ingresso in scena.
L’arrivo della milizia fu un imprevisto nubifragio gelato che estinse rapidamente l’ardere del conflitto, mandando scompostamente in fuga ogni guerriero sul campo in grado di allontanarsi.
Fu fatale per Argo non accorgersi che il suo caino rivale che credeva  tra le soporose braccia di Morfeo, aveva dissotterrato un coltello celato preventivamente sotto una pietra in caso le cose si fossero messe male.
Con infame freddezza assassina, il traditore accoltellò ripetutamente Argo lasciandolo facile preda dei miliziani.
(continua)